Si può riparare un veicolo per un importo superiore al valore dello stesso?

La riparazione di un veicolo a seguito di un sinistro stradale ha sempre avuto un limite, ossia il valore del veicolo. Anche se c’è da dire che non si è mai trattato di un limite così rigido visto il contenute delle varie sentenze – da quello di pace alla Cassazione.

Tuttavia, generalmente si è applicato il principio di non avallare le riparazioni antieconomiche specie quando l’importo di riparazione superava notevolmente il valore commerciale del veicolo. Così come sempre sono state respinte le richieste che facevano leva sul valore affettivo.

Di recente la Cassazione si è espressa su un caso che ha riguardato una riparazione oltre il valore commerciale del veicolo ordinanza 10686/23.

Tale ordinanza, apparentemente, ha il potenziale di sconvolgere il sistema risarcitorio attuale. Tale ordinanza di fatto legittima, in termini più ampi rispetto di quanto avviene ad oggi, le riparazione antieconomiche.

L’ordinanza indica che la riparazione, pur antieconomica, andrebbe risarcita anche quanto supera notevolmente il valore del veicolo.

Rileva la Corte di Cassazione che:

  • il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione;
  • mentre al debitore non può essere imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica, dato che l’obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che, pur tenendo conto dell’interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito (ostandovi il principio – sotteso all’intero sistema della responsabilità civile- secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un arricchimento per il danneggiato)

e ne da atto che “la giurisprudenza di legittimità ha individuato il punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle riparazioni non superi “notevolmente” il valore di mercato del veicolo danneggiato

ma, ritiene la Corte, che si tratta di un criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell’obbligato rispetto ad eccessi liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che -come detto- debbono trovare tutela nella misura in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non ne comportino una indebita locupletazione; in tale ottica, deve dunque ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2058, 2 co. c.c., la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato.

La Cassazione, nel caso di cui all’ordinanza n. 10686/2023, non ha ritenuto sufficiente il fatto che la riparazione ammontasse a quasi il doppio del valore commerciale del veicolo per ritenere la stessa eccessivamente onerosa.

Indica la Corte che “a fronte di un danno accertato, l’opzione del giudice in favore del criterio liquidativo per equivalente deve necessariamente comportare il riconoscimento di tutte le voci di danno che sarebbero spettate al danneggiato se non avesse scelto di riparare il mezzo e, quindi, anche di costi che non siano stati effettivamente sostenuti, ma che sono necessariamente da considerare nell’ambito di una liquidazione per equivalente che, per essere tale, deve comprendere tutti gli importi occorrenti per elidere il danno mediante la sostituzione del veicolo danneggiato“.

Nel caso in questione la Corte ha rilevato anche che il giudice di merito non aveva indicato se la riparazione comportasse un aumento di valore del veicolo rispetto a quello ante sinistro.

La sentenza è stata cassata con rinvio al giudice di appello

Per chi conosce il mondo della liquidazione dei sinistri, l’ordinanza non rappresenta delle novità assolute visto che le spese accessorie sono sempre state tenute in considerazione nella liquidazione di una riparazione per un importo maggiore rispetto al valore del mezzo.

Tuttavia, ci sono 2 punti molto problematici:

  • la liquidazione automatica delle spese accessorie pur in assenza dell’effettiva demolizione del veicolo così come non effettivo sostentamento di tali spese in caso di liquidazione per equivalente;
  • tenere conto di aspetti di non facile valutazione come possa essere la difficoltà di reperimento di altro veicolo di caratteristiche simili o di pari facilità di guida (un pò come l’impossibilità di attribuire un valore monetario a quello affettivo).

Insomma, l’ordinanza rischia di diventare una bomba ad orologeria per i premi delle polizze visto che in molti potrebbero interpretarla come una legittimazione a effettuare sempre e comunque la riparazione di un veicolo così come vedersi liquidato sempre e comunque il “valore commerciale” e spese accessorie.

Pensate ad un veicolo che ha subito due sinistri nel giro di poco tempo: la prima volta è stato già liquidato il valore commerciale e le spese accessorie – che si fa nel secondo sinistro?